Nel mese di
giugno si inaugurò la mostra collettiva dei vincitori del "Premio
Italia". Il premio era bandito dall'ambasciata italiana di Caracas con
il nobile intento di divulgare l'ingegno italiano nel mondo, ecc. ecc...
Avevo inviato un lavoro per partecipare alle selezioni. La tela era Le Pharaon,
autoritratto da moribondo. Dopo il natale del 2004, causa un
avvelenamento, stavo per tirare le cuoia proprio lì, a Caracas. Il
quadro l'avevo dipinto qualche mese dopo, in piena convalescenza.
Le Pharaon, olio su tela - Gianluca Salvati - Caracas 2005 |
Ma il lavoro era
stato scartato e non sarebbe stato esposto alla collettiva. La decisione
della giuria era insindacabile ed io avevo abbastanza esperienza per
comprendere i significati occulti di un'iniziativa a nome di un Paese
notoriamente antimeritorio come l'Italia odierna. Anche se non c'erano
motivi che mi portassero a credere a una prospettiva diversa lì a
Caracas, mi recai all'inaugurazione sgomberando la mente da pregiudizi:
magari mi apprestavo a scoprire dei veri talenti dell'arte...
Caracas, 15 giugno 2005 - All'evento c'era
tutta la gente che contava, parlo dei connazionali, tutta un'Italia da
esportazione. Anna Grazia Greco faveva gli onori di casa e pare che
fosse la principale burattinaia di quel concorso (e di quelli successivi). Per non smentirsi, la selezione
degli artisti del premio, era piuttosto deprimente: una vomitevole
pastetta. Quella esposizione diceva tanto sia sul livello culturale, sia
sugli intrallazzi di chi selezionava.
Ciononostante, non mi sarei sognato di spendere una sola parola sul modo in cui certa gente sperpera il denaro pubblico: non sono affari miei. Ho una regola molto semplice, ma efficace: vivi e lascia vivere. Per questo stesso motivo divento intrattabile quando mi si pestano i piedi.
Ciononostante, non mi sarei sognato di spendere una sola parola sul modo in cui certa gente sperpera il denaro pubblico: non sono affari miei. Ho una regola molto semplice, ma efficace: vivi e lascia vivere. Per questo stesso motivo divento intrattabile quando mi si pestano i piedi.
Il primo premio andò a un tipo che avrei definito un tappezziere pop.
Costui si atteggiava a divo, pavoneggiandosi nel soprabito di pelle
alla Matrix (lì ai tropici). I suoi lavori non erano dissimili da come
egli stesso si presentava: una sorta di cuscini in similpelle con
disegni manga. Cose trite e ritrite, ma il personaggio gongolava nel suo
ruolo e si godeva i suoi 5 minuti di notorietà.
Allora non lo sapevo, ma nella smorfia della mia famiglia, il tappezziere ha un posto di rilievo. Richiama la vicenda del giornalista-tappezziere Eduardo Giacchetti finito in carcere per aver denunciato le malefatte di un noto politico-delinquente, l'onorevole Gennaro Aliberti.
Poco prima della
presentazione dell'evento, il console e l'ambasciatore comunicavano fra
loro piuttosto preoccupati, sembrava si stessero confessando... Non
passò molto tempo che mi si oscurò la luce: un bestione di buttafuori
locale mi si parò davanti. Mi parve un evento surreale.
Tempo addietro avevo criticato sia una delegazione ministeriale italiana, sia il console, nell'auditorium del Codazzi,
la scuola dove insegnavo. In quell'occasione avevo mosso delle precise
accuse e molta della rabbia mi derivava dall'accidente che mi stava
stroncando pochi mesi prima. Non c'è dubbio che fu la voce della verità a
parlare per me. Sono certo che allora nessuno di loro lo ignorasse.
Intendo dire nessuno dei rappresentanti istituzionali. Quando ritornai a
scuola nel gennaio 2005, ero bianco come un lenzuolo (parole di chi mi vide), avevo avuto la maggior parte dei valori ematici vicini allo zero.
O giù di lì, comunque sfasati.
La scuola era un autentico formicaio,
con quattro ordini di studio, dalla materna alle superiori: centinaia di
persone poterono constatare le mie condizioni di salute durante
l'usuale alzabandiera del mattino. Eppure, quando mossi le mie critiche a
quei signori, non tirai in ballo l'avvelenamento, pensando che fosse
stato un incidente privato ed ignoto ai più. Ma quel trattamento,
tra l'insolente e lo strafottente, da parte della gente per cui
lavoravo, non lo riuscivo a digerire in nessun modo. Mentre la
commissione si compiaceva di compartire la stessa visione del mondo di
quell'onorata associazione del Codazzi: quattro delinquenti patentati.
Per questo motivo gli dissi un po' di cose. Senza trascendere, dato che
sono un signore.
Ad ogni modo, all'inaugurazione del premio Italia, quella questione era per me bella e chiusa da tempo.
Ero lì come
semplice visitatore e la presenza intimidatoria di quel buttafuori era
fuori luogo... Di fatto qualcuno mi stava comunicando di avere la coda di paglia.
Le soluzioni sbirresche sono spesso dei boomerang, specialmente quando
sono così sproporzionate e sfacciatamente immotivate. Tante persone per
bene stavano assistendo ad un pessimo spettacolo di abuso di potere,
senza un casus che potesse giustificarlo. Anche la politica più bieca e
infame deve fare i conti con questa realtà, specialmente quando cerca di
darsi una patina di rispettabilità.
Il bestione dovette ragionare in fretta e, dopo un rapido sguardo a me, si rivolse ad un barbone che si trovava in compagnia di una ragazza, poco distante da me.
Cosicché, tra
tante barbe finte, ecco spuntare una barba vera. Una barba
incolta memore di un certo tipo di intellettuale di sinistra degli anni
'70. Ma il tipo, a parte la barba, aveva il resto del look assolutamente
destrorso.
Il bisonte gli ringhiò qualcosa e lui gli rispose con un
ringhio simile.
Non mi preoccupai di sapere cosa si stessero
comunicando, in fin dei conti parlavano la stessa lingua. Dopo questo
scambio, il bestione si andò a parcheggiare altrove. La serata proseguì
con lo stesso senso di inutilità con cui era cominciata, ma senza
ulteriori intermezzi.
Prima di andar
via incrociai il marito di Minerva Valletta, rappresentante di classe e
madre di un mio alunno. Il signor Bagordo non era lì per caso, essendo
l'autista dell'Ambasciata italiana di Caracas. Mi fermai a parlare un
poco con lui. Mi parve che il tono untuoso del signor Bagordo fosse più
servile del solito...
La sera
successiva una collega con cui avevamo appuntamento al Vic's di Plaza
Altamira, si tirava dietro quel barbone e ce lo presentò. Costui era Piero Armenti,
un aspirante giornalista che si trovava in Venezuela da circa un anno
per fare pratica. La nostra collega, M, era venuta in Venezuela nel
mese di febbraio del 2005, quando la dirigente Anna Grazia Greco, a metà anno scolastico,
casualmente, si era resa conto che la scuola aveva bisogno di un'altra
insegnante. Per pura coincidenza (aveva una possibilità su 3 milioni),
M si trovò ad abitare proprio vicino a questo giornalista.
M aveva
avuto difficoltà a trovare casa: tutti i locatari da lei contattati, al
momento di formalizzare i contratti, svanivano con delle scuse banali.
Un bel mistero.
A proposito del Vic's, dove ho avuto appuntamenti da diversi italiani del Codazzi, si trova appunto vicino a Plaza Altamira, dove ha abitato (o abita tuttora) il noto faccendiere Aldo Miccichè, ex-DC, referente della 'ndrangheta e di Marcello Dell'Utri.
A proposito del Vic's, dove ho avuto appuntamenti da diversi italiani del Codazzi, si trova appunto vicino a Plaza Altamira, dove ha abitato (o abita tuttora) il noto faccendiere Aldo Miccichè, ex-DC, referente della 'ndrangheta e di Marcello Dell'Utri.
Piero Armenti, periodista
Piero Armenti
aveva conosciuto un' amica italiana di M che aveva lavorato tempo
addietro per il consolato e poi era rientrata in Italia. Fu questa amica
a spingere M a fare domanda, tramite il consolato, alla scuola
"Agustin Codazzi" di Caracas... Insomma, mi trovavo nel paese delle
coincidenze misteriose: cominciavo a capire perché il realismo magico
andasse per la maggiore in america latina.
Piero Armenti mi
spiegò cos'era successo la sera prima col bestione. Mi disse che gli era
stato mandato perché aveva criticato l'ambasciatore durante il discorso
di presentazione del premio. Strano, non ricordavo di aver sentito
qualcuno lamentarsi di qualcosa, né tanto meno lui. E poi, prima di
parlare con lui, il bisonte si era fermato davanti a me. Ma, non avendo
motivo per non credergli, accettai la sua versione dei fatti. Certo, se
l'Armenti avesse avuto la decenza di aggiungere che era l'autore di
quell'articolo, diciamo così, piuttosto adulatorio, nei confronti della commissione ministeriale, capitanata dal guitto di regime
Paolo Scartozzoni, commissione che avevo contestato a marzo. Se avessi
saputo che era l'autore di quell'articolo credo che avrei valutato
diversamente le sue affermazioni.
Nell'articolo in
questione non si diceva che i professori provenienti dall'Italia erano
senza contratto e che questa fu l'unica osservazione sensata fatta dalla
platea alle fantasmagorie decantate dalla relatrice ministeriale: una
cosa è la fantapolitica, altro sono i fatti.
A volte le persone tendono a
fare confusione tra le chiacchiere e i fatti, ovvero a prendere per
vera non la realtà, bensì la sua rappresentazione. L'esempio classico è
quello della televisione, dai tg alle telenovelas, di cui non si dirà
mai a sufficienza che è meglio tenerla spenta.
Tornando al
giovane giornalista, Piero Armenti, egli era liberissimo di scrivere e
prendere le parti di chi voleva, ma nessuno lo autorizzava a spacciarsi
per novello Che Guevara....
Sarà un caso che il tipo abbia in seguito scritto per Panorama, settimanale del noto piduista al governo Silvio Berlusconi, l'amerikano?
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